lunedì 19 dicembre 2022

"Intervista a Fabio Geda"

LE PICCOLE EMOZIONI INTERVISTANO LO SCRITTORE ITALIANO FABIO GEDA


Le Piccole Emozioni


Fabio Geda  è uno scrittore italiano, nato a Torino nel 1972, dove tuttora vive e lavora. Si occupa di disagio minorile e animazione culturale. Collabora con Linus e con La Stampa sui temi del crescere e dell’educazione, con la Scuola Holden su quelli della letteratura, con Torino Sistema Solare su quelli dell’impegno civile.
Il suo primo romanzo Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani (2007) vince il Premio Miglior Esordio Fahrenheit, con L’esatta sequenza dei gesti nel 2009  si aggiudica il Premio Grinzane. 
La pubblicazione di Nel mare ci sono i coccodrilli (2010) in cui racconta la vera storia di un ragazzo fuggito dall’Afghanistan conquista l’attenzione di tutti i media. Il libro è stato tradotto in oltre trenta paesi e da questa storia è stato tratto uno spettacolo teatrale. Nel 2015 con Marco Magnone, ha pubblicato il primo volume di Berlin, una distopia ambientata in una Berlino Ovest degli anni 70 distrutta e divisa in fazioni popolate da adolescenti che devono fare i conti con un virus letale.

Fabio come è nata la tua passione per la scrittura?
Ho sempre amato le storie, fin da bambino, qualunque forma avessero. Mi piacevano il cinema, la musica, i fumetti, la fotografia, i romanzi. Mi piaceva ascoltare mio nonno che mi raccontava della guerra e del dopo guerra. Da adolescente poi ho provato a fare un po’ di tutto: suonavo la chitarra, facevo fotografie con la vecchia reflex di mio padre, cercavo di disegnare, frequentavo il laboratorio teatrale del mio liceo. E ovviamente scrivevo. Alla fine ho capito che la cosa che mi riusciva meglio era quella: scrivere. Così mi sono concentrato sul capire come funzionassero romanzi e racconti e alla fine, dopo molto, molto scrivere e dopo molto, molto buttare ciò che avevo scritto, nel 2005 mi è capitato di arrivare alla fine di un romanzo che mi sembrava avere una sua piccolissima dignità. Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani è diventato il mio primo romanzo pubblicato. Tre anni dopo ho scritto Nel mare ci sono i coccodrilli e quel libro mi ha permesso di pensare che forse potevo fare dell’editoria e del raccontare storie il mio mestiere.

Come nascono i tuoi libri? Da cosa prendi spunto?
Dalla vita. Da quello che mi succede e che accende la mia curiosità. Da ciò che faccio, dai posti che visito e dalle persone che incontro. E ovviamente anche dagli altri libri che leggo o dai film che vedo: certi romanzi o certi film mi appassionano al punto che penso quanto mi piacerebbe raccontare una storia così. Alla base della decisione di mettermi a scrivere una storia c’è sempre una tensione estetica — lingua, sguardo, ritmo —, una atmosfera emotiva e un qualche interrogativo etico, sociale, politico. Contemporaneamente comincio ad avere la testa affollata di personaggi, luoghi, fatti. E insomma, alla fine, facendo surf sul caos, cerco di districare la matassa. 

Come vedi i ragazzi di oggi e tutto quello che li circonda?
Li vedo diversamente a seconda del ragazzo o della ragazza. Rifuggo le generalizzazioni. Vedo giovani e giovanissimi pieni di vita e di curiosità e ne vedo altri spaventati, sofferenti e chiusi in se stessi. Dipende. Dipende da loro, dalla famiglia in cui sono nati, dal gruppo dei pari che frequentano, dalla scuola in cui sono capitati, dall’indole e da un sacco di altre cose. A proposito di “ciò che li circonda”c’è una questione in particolare su cui ultimamente mi è capitato di riflettere: ossia la narrazione del futuro. Quando eravamo adolescenti noi degli anni Settanta, il futuro ci veniva raccontato come una promessa, oggi invece la narrazione pubblica lo descrive soprattutto come una minaccia, dalla crisi climatica alla difficoltà di governare la tecnologia, dalla sovrappopolazione al non sapere quali lavori faremo tra vent’anni. In questo senso dobbiamo stare attenti, noi adulti, a monitorare questo clima depressivo e quando è necessario intervenire con una buona dose di speranza e impegno. Non illusione, no, ma speranza e impegno, impegno nel cercare di capire e nell’accettare di non poter capire tutto, e speranza nel fatto che grazie a quell’impegno daremo un senso a quella avventura che siamo soliti chiamare vita. 

I libri, in questa generazione social, fanno ancora parte della quotidianità come lo è stato per noi?  
Guarda, forse i libri sono stati importanti per te e per me, ma non credo sia una questione generazionale. Io ero forse l’unico dei miei amici a passare perte del mio tempo libero immerso nelle letture. Anzi, credo che in termini assoluti bambini e adolescenti leggano più oggi di trent’anni fa, anche perché l’editoria per l’infanzia e quella per ragazzi e ragazze è cresciuta tantissimo e i titoli a disposizione sono molti di più e molto più accattivanti di quelli che avevamo a disposizione noi. Quindi: i libri continueranno a essere importanti per alcuni e continueranno a essere oggetti alieni per altri. Esattamente come per gli adulti. 




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